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insulti su facebook

Se si offende qualcuno su Facebook si rischia un processo per diffamazione aggravata!

Carmine Milo No Comments

Il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero trova pieno riconoscimento nell’art. 21 della Costituzione. Tuttavia, tale libertà può e deve trovare delimitazioni laddove il suo esercizio confligga con altri interessi costituzionalmente tutelati, ma antagonisti, tra cui quello relativo al rispetto dell’altrui reputazione, garantito dall’art. 2 della Costituzione.

Alla luce della rilevanza che assume il diritto alla salvaguardia della propria reputazione, l’ordinamento giuridico italiano riconosce tutela penale a tale bene personale attraverso l’art. 595 c. p.,che disciplina il delitto di diffamazione.

Tale reato si configura quando, attraverso qualunque mezzo di comunicazione idoneo a raggiungere una pluralità di persone, vengano profferite espressioni volte a compromettere il valore e il senso di stima di cui gode, nella collettività di appartenenza, un determinato individuo non presente, che — non essendo posto nelle condizioni di percepire direttamente l’offesa — non può proporre difesa alcuna alla propria persona.

Qualora, però, l’offesa alla reputazione sia effettuata con ilmezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, la legge prevede una forma aggravata di diffamazione, nell’eventualità in cui il delitto sia consumato attraverso il ricorso a qualunque tipo di riproduzioni grafiche (ad esempio manifesti o volantini)ottenute con qualsiasi mezzo meccanico — fotocopiatrice, stampante o computer — e destinate alla diffusione ad un numero indifferenziato di persone.

Nell’ultimo decennio, l’evoluzione tecnologica e telematica ha indotto gli operatori del diritto a valutare l’ipotesi di estendere il reato di diffamazione aggravata ai casi in cui le espressioni diffamatorie vengano propagate con mezzi di comunicazione non rientranti nel tradizionale concetto di stampa e di pubblicità, primo tra tutti, i social network.

La questione è divenuta di stringente attualità proprio in ragione della crescente diffusione dell’utilizzo di tali strumenti di comunicazione di massa, che consentono di manifestare le proprie opinioni ad una pluralità potenzialmente indeterminata di destinatari e che, oggettivamente, costituiscono mezzi idonei a diffondere espressioni offensive dell’altrui reputazione.

Qual è, dunque, l’attuale posizione della giurisprudenza?

Con la sent. n. 24431 del 2015, la Prima Sezione della Corte di Cassazione ha posto un punto fermo.

I giudici di legittimità hanno ricordato, innanzitutto,che la superiore gravità del reato di diffamazione a mezzo stampa si giustifica per il maggiore danno provocato all’offeso, derivante dalla capacità degli strumenti utilizzati di raggiungere un grande numero di persone.

La Suprema Corte ha chiarito, inoltre, che non solo la stampa, ma anche “qualsiasi altro mezzo di pubblicità” rappresenta strumento idoneo a conseguire un’ampia diffusione dell’offesa ed a configurare la condotta illecita.

Nello specifico, il social network facebook — mezzo attraverso cui alcuni gruppi di persone socializzano, raffrontano le rispettive esperienze di vita e instaurano rapporti interpersonali allargati — ha, in forma potenziale, la capacità di raggiungere un elevato numero di persone.

Lo scritto offensivo “postato” sulla propria o sull’altrui bacheca, proprio in ragione dell’ingente numero di potenziali destinatari, conseguirà un’ampia pubblicizzazione e diffusione del messaggio, conducendo di certo ad integrare la consumazione del delitto di diffamazione aggravata.

In conclusione…

Alla luce di quanto argomentato, dunque, se si è destinatari di “post”, commenti o di qualsiasi altro tipo di espressione a carattere diffamatorio e si intende far sanzionare penalmente il soggetto che ha offeso la reputazione, dovrà essere sporta formale querela entro novanta giorni dal momento in cui si ha avuto contezza del fatto illecito.

Qualora, invece, siano stati utilizzati toni poco “garbati” nei confronti di altri utenti, sarà, forse, opportuno riconsiderare le priorità, magari contattando la persona offesa, chiedendo pubblicamente scusa, nella speranza di riuscire ad evitare il pericolo della formalizzazione della querela.

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