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Separazione: casa affidata al figlio minore e nessun genitore verserà l’assegno di mantenimento.

Carmine Milo No Comments

Storica sentenza del Tribunale di Matera che sancisce di fatto il principio della bigenitorialità perfetta: non era mai accaduto prima che nell’ambito di una separazione tra coniugi la casa di famiglia venisse affidata al figlio minore.

Con il decreto di omologazione emesso dal Tribunale materano è stato stabilito, infatti, che, dopo la separazione, non ci sarà un genitore prevalente sull’altro perché i tempi di frequentazione saranno assolutamente paritetici: il figlio minorenne della coppia rimarrà stabilmente a vivere nel domicilio familiare e i due genitori si alterneranno con una frequenza settimanale all’interno dell’abitazione, in modo da non lasciare mai solo il bambino.

Nella ricostruzione motivazionale della sentenza si legge che « nei periodi di rispettiva permanenza i genitori provvederanno personalmente al mantenimento del figlio »: ad un’equa distribuzione del tempo dedicato al minore corrisponderà anche l’uguaglianza del contributo economico elargito da entrambi i genitori.

Il Tribunale ha stabilito, infatti, che entrambi i genitori — nel caso di specie con redditi equivalenti — dovranno provvedere al mantenimento del figlio minorenne in parti uguali durante il periodo di affido di loro spettanza e che nessuno dei due dovrà versare all’altro coniuge alcun assegno di mantenimento.

La sentenza del Tribunale di Matera apre la strada ai contenuti del decreto legge Pillon — non ancora passato al vaglio delle Camere — sull’assegnazione in tempi simmetrici del figlio ai genitori separati e costituisce, pertanto, un precedente in linea con la proposta di legge che introduce il principio della “bigenitorialità perfetta”, riscrivendo la legge del 2006 sull’affido condiviso dei figli a seguito di separazioni e divorzi.

La breve durata del matrimonio incide sull’assegno di mantenimento?

Carmine Milo No Comments

Il giudizio relativo all’accertamento della spettanza dell’assegno divorzile, dopo il perfezionamento della fattispecie estintiva del rapporto matrimoniale, si articola in due fasi successive e distinte, sull’an e sul quantum debeatur, informate rispettivamente ai principi dell’autoresponsabilità e della solidarietà economica.

Nella prima fase — come costantemente rimarcato dalla giurisprudenza di legittimità — il giudice verifica l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso.

Nella seconda fase, invece, il giudice procede alla determinazione in concreto dell’ammontare dell’assegno, che va compiuta tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, nonché del reddito di entrambi, valutandosi tali elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio.

In materia di divorzio, è saldo il principio giurisprudenziale per cui la durata del matrimonio influisce sulla determinazione della misura dell’assegno previsto dalla Legge n. 898 del 1970, ma non anche — salvo casi eccezionali in cui non si sia verificata alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi — sul riconoscimento dell’assegno stesso, assolvendo quest’ultimo ad una finalità di tutela del coniuge economicamente più debole.

Nello specifico, la Suprema Corte, con la sentenza n. 15144 del 2018 — pronunciandosi sul ricorso mosso da un marito, convinto che la Corte d’Appello non avesse considerato la breve durata del suo matrimonio — ha ribadito che i giudici di secondo grado avevano correttamente accertato il diritto della moglie a ricevere l’assegno di mantenimento da parte dell’ex coniuge, vista la notevole sproporzione dei loro redditi.

Nella ricostruzione operata in sentenza, pertanto, la Cassazione — richiamando un precedente similare, relativo ad un vincolo matrimoniale di appena 15 mesi, rispetto al quale, tra l’altro, la moglie godeva anche di un proprio reddito, seppur inferiore a quello del marito — ha sancito che la breve durata del matrimonio (all’incirca un anno, nel caso di specie) non rappresenta un elemento capace di poter escludere il diritto all’assegno di mantenimento.

In definitiva, infatti, la Suprema Corte ha ritenuto che l’assegno al coniuge va commisurato al mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e che, in mancanza di prove, l’indice di tale tenore può essere costituito dall’attuale divario reddituale, e in generale, dalla diversa posizione economica dei coniugi.

Avv. Teresa Santamaria

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