• +39 333 301 88 88
  • info@studiolegalemilo.com

La bottega del diritto

Il blog che risponde alle vostre tante domande

Recupero crediti stragiudiziale e prassi distorte: chi ha parlato di “stalking bancario”?   

Carmine Milo No Comments

Si è creditori? Ecco cosa fare per recuperare il proprio credito!

Quando si vanta un credito, ma non si riesce a recuperarlo perché il debitore si rifiuta di pagare o non adempie per comprovata difficoltà economica, è possibile evitare di impegnarsi personalmente del processo di recupero della somma di denaro, rivolgendosi ad una società di recupero crediti oppure ad un avvocato specializzato in materia, soggetti che tratteranno direttamente con l’insolvente.

Prima di condurre il debitore davanti al giudice, considerati anche i tempi lunghi dei processi civili, è sempre opportuno o, quantomeno, consigliabile, tentare un approccio “amichevole”, al fine di ottenere, in tempi più rapidi, anche solo una parte — si spera la maggior parte — della somma a cui si ha diritto.

Le società di recupero e gli avvocati a cui ci si rivolge conoscono molto bene questa logica ed è per questo motivo che tenteranno, sin da subito, di far rientrare il credito in via stragiudiziale.

Il primo passo che i professionisti del recupero crediti muoveranno è quello di prendere contatti con il debitore per comprenderne le intenzioni e cercare una soluzione condivisa del problema.

L’approccio del professionista con il debitore potrà avvenire attraverso solleciti telefonici o per via epistolare, con l’invio di una lettera di “messa in mora”, atto, quest’ultimo, con cui si contesta ufficialmente il mancato pagamento e con il quale si fissa un termine — mai inferiore a quindici giorni — per l’adempimento, scaduto il quale, la somma dovuta inizierà a maturare interessi.

A tale comunicazione si accompagna, inoltre, l’avvertimento che, in caso di persistente inadempienza, verrà valutato il ricorso alla fase giudiziaria.

Se il debitore persiste nel non pagare, l’agenzia di recupero può proporre un incontro con “Agenti per la tutela del credito”, che si recheranno direttamente al domicilio del debitore per prospettare un piano di rientro del debito, anche rateizzato.

Prima di citare il debitore dinanzi al giudice, l’ultimo tentativo conciliativo è l’invio — tramite raccomandata con avviso di ricevimento — di una diffida ad adempiere, con cui informare l’insolvente che, alla scadenza di un ulteriore termine scelto arbitrariamente dal creditore, si procederà per vie legali.

 

Si è insolventi? Ecco come devono comportarsi le agenzie di recupero crediti!

In un periodo di grave crisi economica, l’indebitamento con società di servizi, finanziarie, banche è divenuto fenomeno sempre più frequente.

È doveroso, pertanto, che il procedimento di recupero crediti venga svolto correttamente e senza abusi commessi in danno di singoli soggetti o famiglie in momentanea difficoltà economica.

L’agenzia di recupero — come anticipato — entra in contatto con i debitori principalmente attraverso i solleciti telefonici.

Le associazioni dei consumatori individuano — tra le 8.30 del mattino e le 21.30 della sera — le fasce orarie in cui è consentito telefonare al soggetto insolvente. L’operatore deve sempre rendere noto il nome della società che rappresenta, la persona o l’ente per cui sollecita il pagamento e indicare il debito non saldato.

É contrario ad ogni regola di correttezza intimorire il debitore con informazioni false o minacce, oppure violarne il diritto alla riservatezza fornendo a terze persone, compresi i suoi familiari, informazioni relative alla sua situazione debitoria.

Prassi particolarmente diffusa tra le società di recupero crediti è quella di inviare direttamente al domicilio del debitore — ma sempre nel rispetto della privacy e della dignità della persona insolvente — i cosiddetti procuratori stragiudiziali (o “agenti per la tutela del credito”).

È opportuno chiarire che questi agenti del recupero non sono né pubblici ufficiali, né ufficiali giudiziari, ma semplicemente dei professionisti delegati dalle agenzie private alle operazioni di recupero del credito.

Il debitore, pertanto, può rifiutarsi di riceverli e di interloquire con loro, non avendo nessun obbligo al riguardo.

Chi ha parlato di “stalking bancario”?

I rappresentanti di alcune agenzie di recupero, per lucrare una provvigione più consistente sulla somma recuperata, attuano non di rado strategie pressanti e aggressive nei confronti dei debitori: telefonate insistenti durante il giorno, tutti i giorni, anche nei festivi e a tarda sera; intimazioni di iniziative legali sproporzionate, quali la minaccia di fallimento, di pignoramento dello stipendio o di vendita immediata all’asta dell’abitazione.

Tali pratiche, scorrette e insidiose, hanno progressivamente attirato l’attenzione dell’opinione pubblica, in considerazione del fatto che si legano strettamente al tragico fenomeno dei suicidi per indebitamento — dal 2012 se ne sono registrati circa 700, di cui 80 nel primo semestre del 2016!

Si tratta di dati che hanno sollecitato riflessioni e soluzioni governative, inducendo la classe politica ad introdurre in Parlamento un dibattito sulla equiparabilità delle prassi eccessivamente aggressive o persecutorie poste in essere nell’iter di recupero crediti, con le condotte punite dalla legge come “stalking” (art. 612 bis c.p.).

Nella relazione alla proposta di legge, il partito promotore ha posto l’accento sulla circostanza che una richiesta reiterata con insistenza ed in modo invasivo può giungere a configurarsi come un’azione persecutoria violenta a carico del debitore che ne diventa vittima, venendo posto, quest’ultimo, in una condizione di grave stress psicofisico, di oppressione, debolezza e impotenza. Simili stati emotivi possono compromettere il normale svolgimento della vita quotidiana, tanto che il debitore può essere indotto a forti cedimenti emotivi, gesti di autolesionismo e, in casi estremi, al suicidio.

Preso atto di questa tragica realtà, il Parlamento dovrà interrogarsi e decidere sull’esigenza di introdurre, nel sistema penale italiano, un’aggravante del delitto di stalking che preveda un aumento di pena nel caso in cui gli atti persecutori siano commessi da istituti bancari, società finanziarie, filiali di recupero credito o qualsiasi altro soggetto giuridico.

Crisi coniugale? Le nuove frontiere in tema di separazione e divorzio.

Carmine Milo No Comments

Nell’ immaginario collettivo è ricorrente l’idea che separazione e divorzio esprimano lo stesso concetto e, il più delle volte, le profonde differenze tra l’una e l’altro si colgono solo quando, effettivamente, il proprio matrimonio è giunto, per dire comune, al capolinea.

In realtà, è opportuno sapere che la legge italiana non consente di sciogliere immediatamente il vincolo matrimoniale — e, quindi, di divorziare — ma richiede un periodo di transizione, che può portare ad una riconciliazione tra i coniugi o può condurre, trascorso un certo tempo, alla constatazione che “la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può più essere mantenuta o ricostruita”.

La separazione rappresenta, dunque, una fase obbligata e necessaria per poter, successivamente, accedere al divorzio.

Come ci si può separare? Giudiziale e Consensuale: due tipologie a confronto!

La separazione giudiziale implica l’instaurazione di una causa dinanzi al Tribunale. Si tratta di una tipologia di separazione che trova i suoi presupposti, oltre che nella mancanza di un accordo per procedere alla separazione consensuale, nella intollerabilità della convivenza, oppure nel verificarsi di fatti talmente rilevanti da poter arrecare grave danno all’educazione dei figli.

Il Tribunale competente — ovvero quello del luogo di ultima residenza dei coniugi o, in mancanza, del luogo dove il coniuge convenuto ha la residenza o il domicilio — già a seguito della prima udienza può dichiarare, seppur con sentenza non definitiva, l’immediata separazione. In tal modo, la decisione attinente agli aspetti controversi — quali la situazione reddituale o il mantenimento dei figli — sarà assunta in un secondo momento. Tale potere del Giudice concretizza, pertanto, una accelerazione procedurale, che consente ai coniugi di chiedere il divorzio anche prima dell’emissione della sentenza definitiva.

La scelta della tipologia della separazione giudiziale potrà trasformarsi in separazione consensuale anche qualora sia stato già avviato il giudizio, ipotesi non configurabile per la separazione consensuale.

Con la separazione consensuale — che non può mai essere trasformata nella separazione giudiziale — i due coniugi si accordano su tutti gli aspetti della separazione, definendo i propri interessi sia di natura personale che patrimoniale, tenendo sempre conto, tuttavia, degli interessi superiori dei figli.

L’accordo raggiunto deve, però, essere omologato dal Tribunale competente. In quella sede, il Giudice, infatti, dovrà verificare l’effettiva volontà di separarsi, alle condizioni pattuite nell’accordo.

Come si arriva all’accordo? La legge prevede diverse strade!

La soluzione tradizionale è quella di procedere alla separazione attraverso il deposito congiunto di un ricorso in Tribunale — anche tramite un unico legale — a cui seguirà un’udienza dinanzi al Presidente del Tribunale che, dopo aver tentato la conciliazione delle parti, omologherà l’accordo.

Tuttavia, il d.l 132/2014, convertito in L. 162/2014, ha introdotto nel nostro ordinamento la “negoziazione assistita dagli avvocati” e la “separazione davanti al sindaco”, con la finalità di incentivare le parti al raggiungimento di un accordo di separazione senza la necessità di coinvolgere il Giudice.

La negoziazione assistita dagli avvocati è consentita

  • in assenza di figli e, in tal caso, l’accordo dei coniugi, concluso con l’assistenza dei rispettivi legali, è solo valutato dal Procuratore della Repubblica che, se non riscontra alcuna irregolarità, rilascia nulla osta;
  • in presenza di figli minori o maggiorenni portatori di handicap grave o non autosufficienti, in caso di un accordo tra i coniugi che, per essere autorizzato dal Pubblico Ministero, deve rispondere agli interessi personali e patrimoniali della prole.

Il legale della parte, dopo la sottoscrizione della convenzione di negoziazione, trasmette copia autenticata con relative certificazioni, entro dieci giorni, all’Ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, per consentire l’espletamento di tutti gli adempimenti successivi, quali la trascrizione nei registri dello Stato civile e l’annotazione a margine del certificato di matrimonio.

La separazione dinanzi al Sindaco è un iter giuridico percorribile solo nel caso in cui la coppia non abbia figli ancora minorenni o, se maggiorenni, economicamente non autosufficienti o portatori di handicap grave.

L’opzione è praticabile solo se l’accordo raggiunto tra le parti non prevede alcun patto con cui si dispongano trasferimenti patrimoniali.

I coniugi compaiono direttamente — in tal caso, infatti, l’assistenza degli avvocati è facoltativa — dinanzi all’Ufficiale di stato civile del comune di residenza di almeno uno di loro, o presso il quale il matrimonio è stato iscritto o trascritto, per concludere un accordo di separazione.

Il Sindaco, in qualità di Ufficiale dello stato civile, ricevute le dichiarazioni da ciascuno dei coniugi, farà sottoscrivere personalmente l’accordo al quale la legge riconosce valore di provvedimento giudiziale. Tuttavia, per garantire una maggiore riflessione dei coniugi sui risvolti della separazione, la normativa prevede un secondo incontro dinanzi al Sindaco, da effettuarsi entro trenta giorni dal primo, per l’approvazione definitiva dell’accordo. La non comparizione dei coniugi equivale alla mancata conferma e, quindi, all’inefficacia dell’accordo stesso. Se, invece, i coniugi compaiono, l’accordo sarà confermato e sarà retroattivo, nel senso che i coniugi verranno considerati come separati dal primo incontro davanti al Pubblico Ufficiale.

E per il divorzio?

Dopo l’entrata in vigore delle nuove norme sulla separazione e della nuova legge sul divorzio — la n. 55 del 2015 — i coniugi possono divorziare dopo sei mesi dall’intervenuta separazione consensuale.

Nel caso in cui, invece, la separazione sia avvenuta per via giudiziale, il tempo che deve trascorrere tra la separazione e il divorzio è quello di un anno dalla data di comparizione dei coniugi davanti al Presidente del Tribunale.

 

La tutela penale dell’ambiente: i nuovi ecoreati!

Carmine Milo No Comments

La problematica dell’inquinamento ambientale è sempre stata fortemente avvertita e recepita nel nostro Paese, con un interesse crescente dal secondo dopoguerra ad oggi.

Solo alcune tragiche vicende — note come “caso Eternit” o “Terra dei fuochi” — hanno, però, accelerato il doveroso intervento dello Stato, finalizzato a prestare una più efficace, seria e specifica protezione al bene primario della salute.

Con la riforma introdotta dalla Legge n. 68 del 2015, finalizzata proprio al rafforzamento della tutela penale in materia ambientale — accolta, dopo lunga attesa, soprattutto dal mondo delle Associazioni ambientaliste, Legambiente e W.W.F., in primis — viene introdotto nel codice penale italiano un nuovo titolo dedicato ai “Delitti contro l’ambiente”, che disciplina un pacchetto di cinque nuovi reati: inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, impedimento del controllo e omessa bonifica.

Alcune riflessioni sugli eco-reati: un nuovo modello per la tutela penale.

L’intento perseguito con l’introduzione del nuovo pacchetto di reati è, innanzitutto, quello di colmare alcune lacune normative — che, purtroppo, colpiscono i cittadini come vittime predestinate — e di intervenire sull’inasprimento del sistema sanzionatorio, con conseguenti termini di prescrizione più ampi, in alcuni casi raddoppiati.

Prima di soffermarsi sulla disciplina sanzionatoria, per comprendere meglio la portata della novella legislativa, appare opportuno rivolgere l’attenzione ad alcune delle nuove fattispecie delittuali.

  • L’inquinamento ambientale (art. 452-bis c.p.)

Viene superato il precedente modello di reato — contravvenzionale — che puniva essenzialmente l’esercizio dell’attività inquinante senza autorizzazione o in superamento dei valori-soglia fissati dalla legge.

Con il nuovo delitto, invece, il legislatore punisce la condotta da cui deriva un danno all’ambiente, inteso, quest’ultimo, come “compromissione o deterioramento significativo e misurabile delle acque, dell’aria, di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo, oppure di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.

L’inquinamento può consistere in qualsiasi condotta — come, ad esempio, l’immissione di sostanze chimiche, Ogm, materiali radioattivi — che provochi una modificazione in senso peggiorativo dell’equilibrio ambientale.

  • Il disastro ambientale (art. 452-quater c.p.)

Con questa previsione, si inserisce nel codice penale un’ipotesi di reato diversa e più grave del “semplice” inquinamento ambientale.

Il termine “disastro” inerisce a qualunque alterazione di un ecosistema, totalmente irreversibile oppure eliminabile solo attraverso interventi sofisticati e con costi ingenti.

Nella nozione di disastro ambientale, la legge sugli eco-reati fa rientrare anche la condotta da cui deriva un’offesa alla pubblica incolumità. In tal caso, infatti, risponde del delitto di disastro l’agente che pone in essere una condotta grave — per l’estensione del danno procurato all’ambiente o per l’alto numero di persone offese — da cui scaturisca offesa alla pubblica incolumità, pur non cagionando alterazioni irreversibili all’ecosistema.

  • Il traffico ed abbandono di materiale radioattivo (art. 452-sexies c.p.)

Con l’introduzione di questa fattispecie delittuosa, il legislatore risponde con fermezza ad un diffuso e sempre più allarmante fenomeno criminale, dando piena esecuzione alla “Convenzione sulla protezione fisica dei materiali nucleari” e alla Direttiva 2008/99/CE, che, nello specifico, richiedeva agli Stati membri l’adozione di misure volte a sanzionare comportamenti illeciti legati alla produzione e al trattamento in generale — compreso lo smaltimento — di materiali nucleari o di altre sostanze radioattive pericolose.

Il delitto di traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività si concretizza nel cedere, acquistare, ricevere, trasportare, importare, esportare, procurare ad altri, detenere, trasferire o abbandonare materiale ad alta radioattività oppure nel disfarsene illegittimamente.

Il rifiuto radioattivo è costituito — così come lo ha classificato anche l’International Atomic Energy Agency — da qualsiasi materiale che contiene livelli di radioattività in forma solida, liquida, o gassosa, superiori alle “quantità esenti” stabilite dalle Autorità competenti, per il quale non è previsto alcun ulteriore uso.

Si tratta di un reato che prevede una pena maggiore se dalla condotta — cessione, acquisto, ricezione o trasporto — deriva un pericolo di compromissione o deterioramento delle acque, dell’aria, del suolo o del sotto-suolo, della biodiversità, della flora o della fauna, nonché pericolo per la vita o per l’incolumità delle persone.

Trattamento sanzionatorio: pene più severe per prevenire l’inquinamento!

L’intervento legislativo del 2015, oltre al significativo aumento delle pene detentive — quella più elevata è di quindici anni di reclusione, prevista, come pena massima, per il delitto di disastro ambientale — contempla la pena accessoria della incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione per i soggetti dichiarati colpevoli per ciascuno dei nuovi reati ambientali.

Il legislatore disciplina, inoltre, la confisca obbligatoria, anche per equivalente, “delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato o che servirono a commetterlo, salvo che appartengano a persone estranee al reato” (art. 452 undecies c.p.). Ciò significa che sarà possibile espropriare anche beni diversi da quelli che costituiscono il prezzo o il profitto del reato, per un valore a essi corrispondente, nel caso in cui questi ultimi non vengano individuati. I beni confiscati saranno posti “nella disponibilità della pubblica amministrazione competente per la bonifica dei luoghi”. Tale misura, tuttavia, va esclusa nel caso in cui l’imputato abbia messo in sicurezza o, ove necessario, abbia effettuato la bonifica e il ripristino dello stato dei luoghi.

In conclusione …

La riforma del 2015 viene accolta con grande soddisfazione dal mondo istituzionale e dalle molteplici associazioni ambientaliste, non solo per l’oggettivo inasprimento della tutela penale in materia ambientale —patrimonio nazionale per eccellenza — ma anche per il forte colpo inferto ad un mercato criminale, rimasto per troppi anni del tutto impunito.

L’intervento legislativo risponde a diverse esigenze all’interno del nostro ordinamento, nonché ad esigenze comunitarie (segnatamente alla Direttiva 2008/99/CE sulla Tutela penale dell’ambiente).

Seppure il risultato complessivo della novella appare soddisfacente sotto molteplici punti di vista, non è di sicuro scevro da critiche o difetti.

È complesso per gli operatori del diritto confrontarsi con un testo normativo intriso di molteplici elementi discrezionali. Si pensi, a mero titolo esemplificativo, alla definizione di disastro ambientale come alterazione abusiva dell’ambiente, senza fornire alcuna esplicitazione o chiarimento di tale struttura lessicale.

L’opinione condivisa ritiene che solo il lavoro combinato di magistrati e di periti può farsi carico dell’onere di colmare le oggettive lacune e di intervenire per chiarire tutte le locuzioni non precisate dal legislatore, contribuendo ad individuare un saldo punto di riferimento giurisprudenziale.

Depenalizzazione: le nuove frontiere sanzionatorie dopo la riforma del 2016

Carmine Milo No Comments

Nel gergo giuridico italiano, la depenalizzazione consiste nella trasformazione degli illeciti penali in illeciti amministrativi.

Agli occhi dell’opinione pubblica, i provvedimenti di depenalizzazione che investono alcune ipotesi di reato sono erroneamente associati ad un arretramento della giustizia o ad un allentamento della stretta sanzionatoria.

In verità, le ragioni che giustificano la “conversione” di alcune condotte penalmente sanzionate in illeciti amministrativi puniti in via pecuniaria rispondono alla necessità di alleggerire il carico di lavoro dei giudici penali, senza, tuttavia, rinunciare ad infliggere la giusta punizione a chi ha commesso un illecito non particolarmente grave.

Al nostro legislatore penale, però, non è apparso sufficiente dischiudere le porte della sanzione amministrativa ai reati minori.

Con il d.lgs n. 7 del 2016, infatti, si è spinto ben oltre, introducendo nel nostro ordinamento una particolare forma di depenalizzazione, che ha portato all’abolizione di alcuni reati, “declassatida illeciti penali a illeciti civili.

In particolare, il riferimento è agli “ex reati” di falsità in scrittura privata (art. 485 c.p.), falsità in fogli firmati in bianco (486 c.p.), ingiuria (art. 594 c.p.), sottrazione di cose comuni (art. 627 c.p.), appropriazione di cose smarrite, del tesoro e di altre cose avute per errore o per caso fortuito (art. 647 c.p.), danneggiamento c.d. “semplice” (art. 635, 1° comma, c.p.).

 Quali sono le conseguenze della depenalizzazione del 2016?

Il solo fatto che per questi illeciti non sia più previsto l’intervento del giudice penale non deve indurre a ritenere che colui che ingiuria, falsifica una scrittura privata, si appropria di cose comuni o danneggia l’automobile del vicino, resterà impunito.

Il legislatore, infatti, ha inteso punire gli autori di tali condotte attraverso un sistema sanzionatorio particolare, che, in Italia, non annovera precedenti e che colpisce, in modo esemplare, il patrimonio dell’individuo.

La riforma del 2016, oltre a prevedere una prima sanzione civile, consistente nella condanna al risarcimento del danno patito dalla vittima, disciplina una seconda sanzione pecuniaria, il cui importo deve essere versato nelle casse dello Stato.

L’ammontare della “pena pecuniaria” varia a seconda delle specifiche caratteristiche dell’illecito. Ad esempio, per l’ipotesi di ingiuria semplice, l’importo della sanzione può oscillare dai 100 agli 8.000 euro. Invece, nel caso in cui l’ingiuria “consista nell’attribuzione di un fatto determinato o venga commessa in presenza di più persone”, la sanzione può lievitare sensibilmente, raggiungendo addirittura l’importo massimo di 12.000 euro.

Pertanto, se si considera che per il “vecchio” reato di ingiuria la pena pecuniaria massima era di “soli” 516 euro — elevabile in alcuni casi a 1.032 euro — non si può reputare che il “nuovo” sistema, a fronte dell’abolizione dei suddetti reati, non abbia conseguito un buon compromesso sanzionatorio.

 Come procedere e a quale autorità rivolgersi nel caso di un reato depenalizzato?

La vittima di un fatto punito con sanzioni pecuniarie civili non dovrà più denunciare o querelare il colpevole alle forze di polizia o direttamente alla Procura della Repubblica.

Dal 2016, infatti, per ottenere il risarcimento dall’autore della condotta illecita, sarà necessario rivolgersi ad un avvocato e conferirgli mandato affinché intraprenda una causa di risarcimento del danno di natura extra contrattuale.

Il giudizio sarà, quindi, instaurato attraverso la notificazione, al convenuto, dell’atto di citazione dinanzi al Giudice di Pace, se la causa ha un valore non superiore a 5.000 euro, o dinanzi al Tribunale, se il valore della causa è superiore a 5.000 euro.

Per quanto attiene alla richiesta di risarcimento del danno, essa si prescrive in cinque anni — trattandosi di illecito extracontrattuale — e, di conseguenza, la causa dovrà avere inizio entro questo termine.

Il giudice comminerà la sanzione solo all’esito dell’accoglimento della domanda di risarcimento del danno proposta dalla persona offesa.

È opportuno segnalare, inoltre, che, in assenza di un formale atto di citazione in giudizio, l’autore del fatto resterà impunito, perché — si badi — il magistrato non potrà irrogare la sanzione d’ufficio.

L’Autorità giudiziaria, in considerazione delle condizioni economiche del condannato, potrà, invece, accordare una rateizzazione della sanzione pecuniaria civile in soluzioni mensili, per un numero massimo di otto rate. Nel caso in cui anche un solo rateo non venga corrisposto nel termine fissato dal giudice, il condannato dovrà versare l’intero ammontare in un’unica soluzione.

 Decesso e trasmissione dell’obbligo agli eredi.

Nel caso di morte dell’autore dell’illecito, l’obbligo di pagamento della sanzione pecuniaria civile non si trasmette agli eredi, ma si estingue.

E’ trasmissibile agli eredi, invece, l’obbligazione relativa al pagamento del risarcimento del danno, sempreché essi non abbiano formalmente rinunciato all’eredità.

 In definitiva …

I “vecchi” illeciti penali, oggi puniti con sanzioni civili, obbligano al risarcimento del danno verso il danneggiato e al pagamento della sanzione civile verso lo Stato.

È difficile immaginare i risvolti di tale riforma, a detta di alcuni “epocale”, ma sicuramente non si può negare che ad un alleggerimento del carico giudiziario in ambito penale corrisponderà un proporzionale appesantimento del lavoro dei tribunali civili, già oberati di lavoro e con tempistiche medie di definizione di processi che oscillano tra i cinque e i sette anni.

insulti su facebook

Se si offende qualcuno su Facebook si rischia un processo per diffamazione aggravata!

Carmine Milo No Comments

Il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero trova pieno riconoscimento nell’art. 21 della Costituzione. Tuttavia, tale libertà può e deve trovare delimitazioni laddove il suo esercizio confligga con altri interessi costituzionalmente tutelati, ma antagonisti, tra cui quello relativo al rispetto dell’altrui reputazione, garantito dall’art. 2 della Costituzione.

Alla luce della rilevanza che assume il diritto alla salvaguardia della propria reputazione, l’ordinamento giuridico italiano riconosce tutela penale a tale bene personale attraverso l’art. 595 c. p.,che disciplina il delitto di diffamazione.

Tale reato si configura quando, attraverso qualunque mezzo di comunicazione idoneo a raggiungere una pluralità di persone, vengano profferite espressioni volte a compromettere il valore e il senso di stima di cui gode, nella collettività di appartenenza, un determinato individuo non presente, che — non essendo posto nelle condizioni di percepire direttamente l’offesa — non può proporre difesa alcuna alla propria persona.

Qualora, però, l’offesa alla reputazione sia effettuata con ilmezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, la legge prevede una forma aggravata di diffamazione, nell’eventualità in cui il delitto sia consumato attraverso il ricorso a qualunque tipo di riproduzioni grafiche (ad esempio manifesti o volantini)ottenute con qualsiasi mezzo meccanico — fotocopiatrice, stampante o computer — e destinate alla diffusione ad un numero indifferenziato di persone.

Nell’ultimo decennio, l’evoluzione tecnologica e telematica ha indotto gli operatori del diritto a valutare l’ipotesi di estendere il reato di diffamazione aggravata ai casi in cui le espressioni diffamatorie vengano propagate con mezzi di comunicazione non rientranti nel tradizionale concetto di stampa e di pubblicità, primo tra tutti, i social network.

La questione è divenuta di stringente attualità proprio in ragione della crescente diffusione dell’utilizzo di tali strumenti di comunicazione di massa, che consentono di manifestare le proprie opinioni ad una pluralità potenzialmente indeterminata di destinatari e che, oggettivamente, costituiscono mezzi idonei a diffondere espressioni offensive dell’altrui reputazione.

Qual è, dunque, l’attuale posizione della giurisprudenza?

Con la sent. n. 24431 del 2015, la Prima Sezione della Corte di Cassazione ha posto un punto fermo.

I giudici di legittimità hanno ricordato, innanzitutto,che la superiore gravità del reato di diffamazione a mezzo stampa si giustifica per il maggiore danno provocato all’offeso, derivante dalla capacità degli strumenti utilizzati di raggiungere un grande numero di persone.

La Suprema Corte ha chiarito, inoltre, che non solo la stampa, ma anche “qualsiasi altro mezzo di pubblicità” rappresenta strumento idoneo a conseguire un’ampia diffusione dell’offesa ed a configurare la condotta illecita.

Nello specifico, il social network facebook — mezzo attraverso cui alcuni gruppi di persone socializzano, raffrontano le rispettive esperienze di vita e instaurano rapporti interpersonali allargati — ha, in forma potenziale, la capacità di raggiungere un elevato numero di persone.

Lo scritto offensivo “postato” sulla propria o sull’altrui bacheca, proprio in ragione dell’ingente numero di potenziali destinatari, conseguirà un’ampia pubblicizzazione e diffusione del messaggio, conducendo di certo ad integrare la consumazione del delitto di diffamazione aggravata.

In conclusione…

Alla luce di quanto argomentato, dunque, se si è destinatari di “post”, commenti o di qualsiasi altro tipo di espressione a carattere diffamatorio e si intende far sanzionare penalmente il soggetto che ha offeso la reputazione, dovrà essere sporta formale querela entro novanta giorni dal momento in cui si ha avuto contezza del fatto illecito.

Qualora, invece, siano stati utilizzati toni poco “garbati” nei confronti di altri utenti, sarà, forse, opportuno riconsiderare le priorità, magari contattando la persona offesa, chiedendo pubblicamente scusa, nella speranza di riuscire ad evitare il pericolo della formalizzazione della querela.

reati condominiali

Reati in ambito condominiale: cosa fare quando il vicino diventa intollerabile?

Carmine Milo No Comments

Mantenere un rapporto civile e sereno con i propri vicini è impresa ardua, in modo particolare se le loro cattive abitudini o i loro comportamenti poco edificanti mettono a dura prova la reciproca convivenza.

Occorre evidenziare, però, la circostanza che molteplici usi sconvenienti o azioni inopportune compiute dal vicino possono superare la soglia della legalità, sconfinando nell’area “penalmente rilevante”.

Nei rapporti di vicinato — più specificamente in ambito condominiale — tra i reati maggiormente ricorrenti devono segnalarsi tre ipotesi di estremo interesse: il“disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone” (art. 659 c.p.), il“getto pericoloso di cose” (art. 674 c.p.) e lo “stalking condominiale” (art. 612 bis c.p.).

Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone…

Si tratta di un reato contravvenzionale con il quale il legislatore tutela l’ordine pubblico, inteso come tranquillità e quiete delle persone, sia nella collettività che nelle loro azioni individuali.

La condotta è posta in essere da chiunque produca emissioni sonore— rumori, schiamazzi, abuso di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche — che disturbino il riposo e le occupazione delle persone.

Per la configurazione del reato occorre che il rumore superi i limiti della “normale tollerabilità”, da accertare caso per caso in relazione alla percezione sensoriale delle persone ubicate nel luogo in cui le emissioni sonore si propagano.

Qualche caso pratico: uno sguardo alla giurisprudenza.

  • III Sez. sent. 53102/16 — Attività rumorosa svolta in ambito condominiale.

Chi svolge un’attività rumorosa in ambito condominiale, commette reato se la produzione di suoni è tale da turbare la quiete e le occupazioni non solo degli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante la fonte di propagazione, ma di una più consistente parte degli occupanti il medesimo edificio (nel caso di specie, la questione riguarda rumori proveniente dall’impianto stereo utilizzato da due ragazzini).

  • Cass III Sez. sent. 48315/16 — Ascoltare musica all’alba.

La condotta della massaia che, in un quartiere altamente popolato, inizia le faccende domestiche di primissima mattina, mettendo la radio a volume altissimo ed impedendo così il riposo e lo svolgimento di qualsiasi attività quotidiana dei vicini, integra il reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone.

Getto pericoloso di cose…

È un reato contravvenzionale previsto dal nostro codice penale al fine di prevenire pericoli alle persone, derivanti dal getto o dal versamento di cose idonee ad offendere, imbrattare o molestare, nonché dall’emissione di gas, vapori o fumi.

Qualche caso pratico: uno sguardo alla giurisprudenza.

  • III Sez. sent. 45230/2014 — Scarsa pulizia degli animali domestici.

Commette il reato il soggetto che non provvede in maniera adeguata e costante alla pulizia dei recinti in cui custodisce i suoi cani e del cortile circostante. Il deposito prolungato degli escrementi animali può, infatti, provocare esalazioni maleodoranti idonee a recare fastidio agli altri condomini o agli abitanti di un confinante condominio.

  • III Sez. sent. 16459/2013 — Versamento di reflui civili maleodoranti provenienti da stabile condominiale.

Commette il reato chi, consapevolmente, lascia funzionare un impianto fognario difettoso. Tale condotta, infatti, implica una precisa intenzione di provocare disturbo e molestia con implicazioni di natura igienico-sanitaria.

  • III Sez. sent. 6419/2007 — Gettare cicche di sigaretta e altri rifiuti.

E’ colpevole di getto pericoloso di cose l’abitante dello stabile che lancia rifiuti — come cenere e cicche di sigarette o detersivi corrosivi come la candeggina — verso il piano sottostante ove si trova l’appartamento di un’altra condomina.

Stalking condominale…

La giurisprudenza della Cassazione ha esteso, in ambito condominiale, l’ipotesi del delitto di atti persecutori previsto dall’art. 612 bis c.p. — e più comunemente noto con la locuzione anglosassone “stalking” — ad una serie di comportamenti posti in essere dal condomino — pedinamento, minaccia, apertura della corrispondenza altrui, gettito di polvere e rifiuti sulla terrazza di altri condomini o davanti all’ingresso delle loro abitazioni —finalizzati al compimento di un disegno persecutorio unitario, che si sostanzia nell’attuazione di atti molesti ai danni di più persone.

Qualche caso pratico: uno sguardo alla giurisprudenza.

  • Significativa è statala questione giuridica sottoposta all’attenzione dei magistrati del Tribunale di Padova che, all’esito del primo grado di giudizio, hanno condannato “per stalking”, con sentenza emessa il 23 marzo 2015, un soggetto che era solito minacciare i vicini di casa, proferire bestemmie nei loro confronti e produrre rumori molesti.
  • Vicenda similare ha interessato il Tribunale di Genova che, con sentenza del 24 aprile 2015, ha condannato l’imputato che era solito spiare dalle finestre, suonare musica a tutto volume nel cuore della notte, bussare alle pareti con un bastone, buttare la spazzatura dal balcone e minacciare i vicini.

…le conseguenze per lo stalker possono essere più serie di quanto si possa credere!

La condotta  del “molestatore assillante” che cagiona alla vittima un perdurante e grave stato di ansia o di paura è sanzionata — come previsto dall’art. 612 bis c.p. — con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni.

È opportuno evidenziare, inoltre, che l’essersi resi autori di atti persecutori può comportare serie restrizioni personali, anche prima che venga pronunciata una sentenza di condanna.

  • Allontanamento dell’indagato dall’abitazione.

Il G.i.p. di Padova, con ordinanza n. 1222 del 15 febbraio 2013, ha disposto al condomino indagato del reato di cui all’art. 612 bis c.p. — per aver posto in essere una serie di comportamenti persecutori e molesti a danno di tutti i condomini, rivolti essenzialmente ad imporre il proprio stile di vita — di abbandonare il proprio appartamento, applicando nei suoi confronti la misura cautelare personale del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalle persone offese e dai loro familiari.

Sul punto, la Corte di cassazione ha chiarito, inoltre, che l’allontanamento dell’indagato dalla propria abitazione può essere imposta — e senza che ciò possa costituire ostacolo alla sua applicazione — anche quando la misura impedisca all’indagato di frequentare l’abitazione familiare dove risiedono moglie e figli.

In conclusione…

Che la convivenza nel “microcosmo condominiale” possa risultare faticosa e difficile è un dato incontestabile. Tuttavia, ogni qualvolta ci si trova in una situazione critica con i vicini e si intende ottenere una soluzione rapida ed efficace, è il caso di valutare concretamente l’ipotesi di risolvere la controversia in modo extra-processuale, magari sollecitando l’intervento mediatore dell’amministratore di condominio.

Se, però, nonostante le intenzioni conciliative, i rapporti con il vicino non migliorino … beh, allora non resta che rivedersi in Tribunale!

Truffe online come difendersi

Acquisti Online? Occhio alla Truffa!

Carmine Milo No Comments

Effettuare acquisti on line è divenuta, ormai, prassi ricorrente, così come ricorrenti sono, però, gli episodi di truffe su internet.

Le molteplici tecniche truffaldine escogitate nel corso degli anni— si pensi all’indicazione di partite IVA false, alla creazione di aste on line o di siti di e-commerce fantasma — sono tutte finalizzate a impossessarsi del denaro dell’ignaro acquirente-internauta che, all’esito della transazione commerciale, si trova nella spiacevole condizione di non ricevere la merce ordinata oppure di ottenere prodotti diversi da quelli offerti in vendita o di qualità inferiore … se non, addirittura, scatoli vuoti — il cosiddetto “pacco” — contenenti sola fattura.

La truffa online: lo schema ricorrente dell’adescamento.

Una modalità efficace per attirare clientela è mettere “in rete” merce ad un prezzo più conveniente di quello di mercato, per accrescere l’interesse del potenziale acquirente, sollecitato, in tal modo, a chiedere ulteriori informazioni sul prodotto e sulle relative condizioni di vendita.

Il presunto venditore millanterà rare doti di onestà, serietà e affidabilità, esortando l’ignaro acquirente a concludere l’affare in tempi brevi, inducendolo a credere che il prodotto sia conteso con altri acquirenti.

All’atto del pagamento, il venditore truffaldino chiederà che esso venga effettuato con modalità che, all’insaputa dell’acquirente, offrono scarse garanzie di sicurezza. Sarà frequente, pertanto, la richiesta di ricevere il pagamento tramite il versamento dell’importo da pagare su una carta prepagata, operazione che non fornisce alcuna prova attestante l’avvenuta transazione. Nella maggior parte dei casi, si tratta di carte ricaricabili o prepagate intestate a soggetti nullatenenti, a prestanome o ad anziani indigenti o incapaci.

L’acquirente, pertanto, effettuato l’acquisto, non riceverà ciò per cui ha pagato.

Vademecum dell’acquirente on line.

Prima di effettuare qualsiasi tipologia di acquisto in rete — seppur si ritenga eccessivo verificare l’autenticità della partita Iva del negozio di e-commerce (sul sito dell’Agenzia delle entrate) oppure controllare l’effettiva esistenza dell’azienda venditrice (sul sito internet della Camera di commercio) — appare opportuno, ad ogni modo, procedere con molta cautela.

  • Bisogna preferire siti di vendita certificati, che vantino alti livelli di credibilità. É il caso, quindi, che la scelta ricada su negozi online di grandi società di vendita, che offrono sicurezza nei pagamentiaffidabilità nelle spedizioni della merce.
  • commenti positivi e i feedback di alto gradimento lasciati sui siti di vendita da altri soggetti che abbiano già concluso precedenti acquisti rappresentano buoni indici di serietà del venditore.
  • Occorre utilizzare, per i pagamenti, carte di credito ricaricabili, provvedendo a versare,di volta in volta, l’importo che occorre per completare le transazioni. La carta ricaricabile è, inoltre, una modalità di pagamento sicura, anche in considerazione del fatto che, in caso di truffa, il malintenzionato potrà, eventualmente, privare la vittima solo del credito residuo o, comunque, di un ammontare non superiore a quello previsto come importo massimo caricabile sulla carta stessa.
  • E’ importante scegliere sempre un metodo di spedizione della merce che sia agevolmente tracciabile e/o assicurato.

Si è vittime di una truffa? Ecco cosa fare!

Salvo casi particolari, la truffa è un reato perseguibile penalmente ad iniziativa della persona che ne è stata vittima. Il soggetto truffato, infatti, deve sporgere formale querela, entro novanta giorni dal momento in cui si è avuta notizia del reato, presso le Autorità di polizia o direttamente presso la Procura della Repubblica.

Si segnala, inoltre, che il Commissariato online della Polizia di Stato, attraverso lo Sportello per la sicurezza degli utenti del web, offre due servizi particolarmente utili:

  • Segnalazione on line: strumento attraverso il quale l’utente, con la semplice compilazione di un modulo on line, può portare all’attenzione degli organi di polizia una serie di attività potenzialmente illegali — non solo truffe, ma anche hacking, pedopornografia, cyberterrorismo — svolte in rete.
    Nel caso della truffa, la segnalazione — riguardante un venditore, un annuncio o un e‑commerce sospetto — consentirà alla Polizia di Stato di verificarne l’illegalità e di intervenire per reprimerla.
  • Denuncia on line: strumento attraverso cui l’utente che ha subito un reato informatico può anticipare, direttamente da casa o da qualunque luogo fornito di collegamento internet, alcune formalità necessarie a sporgere denuncia.
    Tale opzione consentirà al querelante di godere di una corsia preferenziale, al momento del completamento della procedura. Terminata la compilazione del modulo, infatti, bisognerà recarsi— muniti di ricevuta enumero di protocollo, entro le successive quarantotto ore — dinanzi all’Ufficiale di P.G.dell’Ufficio di Polizia di Stato prescelto, per integrare o rettificare la denuncia, che acquisirà valore legale con l’apposizione della firma.
    Trascorso vanamente il termine delle quarantotto ore senza che venga completata la procedura, la querela on line perde efficacia e, nell’eventualità, dovrà essere ripresentata.

In conclusione…

Il commercio on line rappresenta una tipologia di acquisto comoda ed avvincente, ma il rischio di cadere nelle grinfie di un malintenzionato è sempre più elevato.

Per questo motivo, prudenza, intuito e diffidenza costituiscono le doti giuste per evitare sgradevoli sorprese!

123

Contattaci per una Consulenza Gratuita

Affidabilità ed Esperienza al servizio del Cliente...